Nella Grecia ellenistica gli dèi che l'uomo sente vicini non sono le potenti e distanti divinità dell’età classica, ma quelle che interpretano i suoi più riposti sentimenti.

 

Afrodite di Milo

Fine del II secolo a.C.

Marmo pario, h. 204 cm

Parigi, Louvre

 

Leggi testi di Esopo - Saffo - Catullo

 

Tra le più celebri del mondo, la statua prende il nome dall’isola dove fu scoperta nel 1820.

Realizzata in due blocchi distinti che si congiungono all’altezza delle anche, essa si presenta mutila del braccio sinistro e priva di una parte del destro. Il ricco drappeggio, nella parte inferiore, sottolinea il movimento torsionale del corpo che le conferisce quell’indiscussa grazia. La denotano pathos, bellezza e malinconia.

 

 

 

 


ESOPO, Favole

La gatta e Afrodite

Una gatta che s’era innamorata di un bel giovane, pregò Afrodite di trasformarla in donna, e la dea, mossa a compassione dal suo amore, la cambiò in una bella ragazza. Così il giovane, vedendola, se ne invaghì e se la portò a casa. Ma mentre essi se ne stavano sdraiati nella loro camera nuziale, ad Afrodite venne voglia di provare se, cambiando corpo, la gatta aveva anche cambiato le sue abitudini, e lasciò cadere là nel bel mezzo un topo. Quella, dimentica delle attuali circostanze, balzò su dal letto e si mise a inseguirlo per divorarselo. Allora la dea indignata la restituì alla sua forma primitiva.

Così avviene anche tra gli uomini: chi è per natura malvagio potrà cambiare condizioni, ma non cambierà mai le sue abitudini.

 


SAFFO, Poesie

A me pare uguale agli dèi

chi a te vicino così dolce

suono ascolta mentre tu parli

 e ridi amorosamente. Subito a me

il cuore si agita nel petto

solo che appena ti veda, e la voce

si perde sulla lingua inerte.

Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,

e ho buio negli occhi e il rombo

del sangue nelle orecchie.

E tutta in sudore e tremante

come erba patita scoloro:

e morte non  pare lontana

a me rapita di mente.                  (poesia tradotta da S. QUASIMODO, Saffo, Tutte le poesie)

 


CATULLO,  I canti

Una volta dicevi, Lesbia, “per me non c’è che Catullo,

neanche Giove vorrei al posto suo”.

A quel tempo t’amavo, non come la gente un’amante,

ma come un padre ama i figli, ama i generi.

Adesso ti conosco. Per questo, se brucio di più,

mi vali molto meno. Mi sei molto di meno.

“E’ tanto strano”. Ma un’offesa così ti costringe

ad amare di più e a volere bene meno.

 


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